L'exploit del talentuoso pilota texano, venne anticipato da delle Wild Card ottenute in MotoGP sempre con la Suzuki, ma nel campionato delle derivate di serie, si presentò in sella ad una "bomba" di Yamaha R1 con motore a fasatura irregolare.
Il campioncino made in USA riuscì ad adattarsi bene a tutto ed iniziò ad inanellare vittorie, (saranno 14 totali) ed incassare punti in maniera spiazzante. Sorte analoga è toccata a Bautista che col suo arrivo in questa categoria, si è ritrovato a dominare le gare su una moto completamente nuova e che da esperto pilota di MotoGP qual'è, guida come nessun'altro è ancora riuscito a fare.
Per chi crede nei numeri o è attratto dalla numerologia e dalla cabala, l'analogia più lampante riguarda il 19, numero di gara che Alvaro conserva fin dagli anni del motomondiale e che anche Ben portava sulla sua moto in omaggio al grande Freddie Spencer che con quel numero aveva trionfato in patria e conquistato tre titoli GP.
L’avvento di Ben Spies coincise
con la prima grande affermazione di Yamaha nel WSBK in quanto, pur potendo
annoverare grandi piloti nel palmarès delle vittorie, non era mai riuscita
conquistare il titolo iridato e ci riuscì affidando all’americano il progetto di R1 appena sfornato dalle officine di Iwata. Ducati, che al contrario è la marca di moto
più titolata in Superbike, è ritornata a fare il bello e il cattivo tempo
proprio dopo anni di delusioni dove, la precedente “Panigale” bicilindrica, non
ha raccolto quanto sperato convertendo le storiche super sportive bolognesi al
quattro cilindri, schema costruttivo già rodato, ma solo in MotoGP. Analogia
nell’analogia, è che per Yamaha quell’anno, solo Ben ottenne grandiosi
risultati, tant’è che il suo compagno di scuderia, un certo Tom Sykes, fece nono in classifica finale. Così, Alvaro Bautista è allo stato attuale l’unico Pilota in grado di
spremere il potenziale della Panigale V4, mentre tutti gli altri concorrenti, a
cominciare dal compagno di colori Chaz Davies, faticano a portare a casa un
risultato degno delle prestazioni del Castigliano.
Lo strapotere di Bautista in
sella a quel gioiello di moto che è la sua Ducati, ha in seno un handicap che
forse non tutti sanno, ma che conosceva anche il buon vecchio Spies, ovvero il
fatto di non conoscere gran parte dei circuiti del campionato. Lo statunitense
per non aver mai corso fuori dai campionati nazionali, salvo una volta a Donington Park,
e il secondo, per il fatto che il motomondiale stesso non incrocia la
maggioranza delle piste in cui si corre con le superbike. Su tutte Imola, che
ospita solo le derivate di serie a livello internazionale dedicandosi al CIV.
Spies fu un rullo compressore, un
locomotore inarrestabile che faceva impazzire gli avversari più esperti, ma in
un altro modo quelli come me che seguivano le gare. Andò in difficoltà ad
Imola, tracciato non facile e che necessita di buona memoria, ma si portò a
casa un quarto e un quinto posto dietro a mostri
come Biaggi, Haga e Simoncelli. Dicevano che la Yamaha non avesse tutta la
potenza che avevano le altre moto, ma con quel titpo di fasatura a scoppi
irregolari, fosse più gestibile e facile da guidare, da lanciare in mezzo ad un
curvone e controllare in "slide". Lo stesso che fa Bautista, che appare
disarmante per come inclina la moto, la controlla, corregge la traiettoria
mettendo le ruote di traverso e “giocando” col gas. Si sdraia sull'asfalto all'inverosimile delle leggi fisiche, evidenziando una confidenza che altri ducatisti
non hanno ancora acquisito e che alla loro moto danno ancora del Lei.
Non so dirvi se l’epilogo del 2019,
sarà l’ennesima analogia coi fatti di dieci anni fa, ma di sicuro gli indizi a
disposizione, la scaramanzia, i casi a cui ci troviamo di fronte, fanno immaginare
qualcosa che sa di gloria. A questo punto diventa interessante stare a vedere
come andrà a finire e appassionarsi ad emozionanti accadimenti che rivelano
sempre più una storia sospesa da realtà e immaginazione, la quale speriamo non
smetta mai di colpirci.
Testo: Alex Ricci
Foto Bautista: Alex Ricci
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