martedì 1 gennaio 2013

Il motociclismo prima del calcio...

 
Nell'estate del 1994, i mondiali di calcio, si sono svolti negli Stati Uniti d'America. Quell'edizione riempirà i giornali e gli almanacchi sportivi per una serie di fatti e notizie che ricorderemo per molto tempo, soprattutto in Italia. Da quell'evento deriva una meno curiosa, ma pur sempre importante innovazione, ovvero l'introduzione dei nomi dei giocatori scritto sulle magliette. Questa novità ha, da quel momento, condizionato non solo i campionati di calcio di tutto il mondo, ma anche gli altri sport di squadra e non. Un'idea che le federazioni del "vecchio continente" hanno adottato dal mondo dello sport americano, dove i nomi degli atleti erano sulle divise da tempo.
 
 
Eppure nel motociclismo sportivo, fin dagli albori, i nomi dei protagonisti erano cuciti sulle tute per contraddistinguere i campioni e i protagonisti delle corse durante le fasi di gara. In una rievocazione storica, a Lugo di Romagna (RA), ricordo di aver visto il grande Carlo Ubbiali indossare una delle sue vecchie tute, completamente nera come tutte quelle dei suoi contemporanei, con il nome cucito sulle spalle in lettere di un rosso così scuro da distinguersi a malapena.
Non è determinante l'origine di questa usanza,  ma un motivo significativo può essere l'abitudine dei motociclisti di avere il proprio nome o quello del gruppo di appartenenza su giacche e giubbotti.
 
 
Inoltre, sulla schiena dei corridori insieme al nome, compariva già anche il numero di gara e come nel caso di Barry Sheene che amava tanto il numero "sette" così da non sostituirlo con l'uno di campione del mondo, ma preferendo ripeterlo oltre che sulla tabella della moto, anche su tuta e casco. All'opposto ragionava il grande Agostini che faceva bella mostra del suo primato con un grande uno cucito sotto il cognome, in modo che si sapesse chi fosse il campione anche se sceso dalla moto.
 
 
Il campione del mondo 1977 della classe 250 Mario Lega, potendo disporre di un cognome corto si concedeva "lettere grandi" sulla schiena, in maniera che i suoi inseguitori non potessero avere dubbi su chi fosse a precederli, come accadeva in questo caso a Kork Ballington.
 
 
Tredici titoli mondiali. I numeri  sono più che sufficienti a quantificare la grandezza di Angel Nieto, che aveva prontamente applicato sulla tuta nome e cognome, tanto per non avere dubbi su chi fosse quel pilota che precedeva gli avversari e andava via come un fulmine.

 
 
Come detto prima, mettere i nomi sulle maglie di gara degli sportivi è sempre stata una prerogativa degli sport americani e anche il "marziano" King Kenny Roberts, sfoggiava fin dai tempi del "dirt track" nel campionato AMA, il suo numero e il nome.
 
 
 
 
Così anche Gregg Hansford che oltre al nome mette il due preceduto dallo zero su tuta e casco.
Siamo da sempre abituati a tute e caschi dei motociclisti personalizzati come segno distintivo di appartenenza ad un rango, che va oltre ad ogni confine sportivo. Un po' come l'andare in moto, che concede spazi dei quali non si può godere in altro modo. In questo non c'è altro sport che possa competere. Per fortuna qui, ma non solo qui, il motociclismo è arrivato prima del calcio.
 
 

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