Ricordo ancora quella volta che entrando nel bar con mio padre da ragazzino, vidi alla tv del locale che trasmettevano una gara di moto. Convinto che si trattasse del Motomondiale, mi sedetti a guardare con il solito entusiasmo. Ma mentre mi accorgevo che di Motomondiale non si trattava, mio padre, grande estimatore della classe 500 e dei suoi protagonisti dell'epoca, mi disse "Ah...è la Superbike! Lì corrono Ducati, Bimota, moto particolari! Non è la 500!". Rimasi perplesso, avevo circa 8/9 anni e non ne sapevo niente di quel campionato che prendeva il via proprio quell'anno. Così, per qualche tempo, grazie anche alla copertura televisiva (molto limitata), tutta in favore dei Gran Premi delle due tempi, non seguivo queste "moto particolari" Fu grazie alla mia voglia di sapere sempre qualcosa in più sulle moto che sfogliando Motosprint, qualche anno dopo (avevo già l'età del motorino), trovai un servizio sul campionato Superbike che stava per iniziare.
Non sapevo chi fossero i piloti, nomi mai sentiti e su quelle moto. Kawasaki, Ducati, Honda, così diverse da quelle del Motomondiale che mi chiedevo cosa fossero. E poi la formula, due manches nello stesso pomeriggio, in circuiti diversi dal calendario dei GP. Stupore e fascinazione al tempo stesso. Leggevo nomi "esotici", piloti americani, inglesi, neozelandesi, ma anche tanti italiani mai visti nella 250 o nella 500 di allora... Qualche giapponese e moto stupende uguali a quelle che vedevo per strada. E poi il nome, "Superbike", mi sembrava così poco tecnico, così fumettistico da non capire bene cosa fosse. Da quel momento in poi bisognava recuperare. Dovevo vedere qualche gara di questi piloti sconosciuti, capire per chi tifare. Mi sarei fatto un beniamino, o più di uno. Magari mi sarei affezionato ad una marca di moto come Ducati, che non gareggiava nei GP, ma non ne vedevo nemmeno molte in strada. Mi colpiva che sulle carene di questi bolidi non comparissero molti sponsor, non erano variopinte e flash come la Suzuki di Schwantz o la Yamaha di Cadalora tipo pacchetto di sigarette, o come la Honda HRC ufficiale coi colori della benzina. Erano semplici, come uscite dal concessionario, senza una grafica ammiccante a con un fascino particolare.
La verdissima Kawasaki del campione statunitense Scott Russell sembrava enorme, mentre le Ducati 888, erano tante e parevano tutte uguali. Ma perché non erano pubblicizzate queste gare? Intendo, sulle riviste specializzate sì, ma per quale motivo non trovavo un canale che trasmettesse le gare la domenica? Quella volta nel bar non vidi granchè. Nessuno seguiva veramente la trasmissione, era capitato per caso e solo la mia curiosità aveva notato una differenza interessante, un'alternativa per chi ha sete di gare e motori. Mi tenevo aggiornato sulle pagine di Motosprint, ma non trovavo una differita e tantomeno una diretta, che potesse placare la mia voglia di vedere correre la Superbike.
Non sapevo chi fossero i piloti, nomi mai sentiti e su quelle moto. Kawasaki, Ducati, Honda, così diverse da quelle del Motomondiale che mi chiedevo cosa fossero. E poi la formula, due manches nello stesso pomeriggio, in circuiti diversi dal calendario dei GP. Stupore e fascinazione al tempo stesso. Leggevo nomi "esotici", piloti americani, inglesi, neozelandesi, ma anche tanti italiani mai visti nella 250 o nella 500 di allora... Qualche giapponese e moto stupende uguali a quelle che vedevo per strada. E poi il nome, "Superbike", mi sembrava così poco tecnico, così fumettistico da non capire bene cosa fosse. Da quel momento in poi bisognava recuperare. Dovevo vedere qualche gara di questi piloti sconosciuti, capire per chi tifare. Mi sarei fatto un beniamino, o più di uno. Magari mi sarei affezionato ad una marca di moto come Ducati, che non gareggiava nei GP, ma non ne vedevo nemmeno molte in strada. Mi colpiva che sulle carene di questi bolidi non comparissero molti sponsor, non erano variopinte e flash come la Suzuki di Schwantz o la Yamaha di Cadalora tipo pacchetto di sigarette, o come la Honda HRC ufficiale coi colori della benzina. Erano semplici, come uscite dal concessionario, senza una grafica ammiccante a con un fascino particolare.
La verdissima Kawasaki del campione statunitense Scott Russell sembrava enorme, mentre le Ducati 888, erano tante e parevano tutte uguali. Ma perché non erano pubblicizzate queste gare? Intendo, sulle riviste specializzate sì, ma per quale motivo non trovavo un canale che trasmettesse le gare la domenica? Quella volta nel bar non vidi granchè. Nessuno seguiva veramente la trasmissione, era capitato per caso e solo la mia curiosità aveva notato una differenza interessante, un'alternativa per chi ha sete di gare e motori. Mi tenevo aggiornato sulle pagine di Motosprint, ma non trovavo una differita e tantomeno una diretta, che potesse placare la mia voglia di vedere correre la Superbike.
Come molti appassionati sanno, questo campionato ha comunque avuto fortuna nel tempo ed ha trovato spazio mediatico, con l'aumentare dello spazio nel cuore degli amanti delle gare di moto. Dopo qualche anno infatti, qualcosa iniziava a muoversi e la Superbike aveva raggiunto un buon livello di interesse non più ristretto al pubblico, ma esteso anche alle aziende che producono moto. Tanto che, dopo un po', nacque una categoria di cilindrata inferiore denominata Supersport. In tempi dove il segnale tv era ancora analogico e non si poteva usufruire di molti canali come col digitale terrestre, qualche emittente iniziò a trasmettere resoconti e qualche gara. Finalmente si poteva seguire in modo ancora un po' macchinoso il mondiale delle derivate di serie. Così, a tarda ora, su reti locali che avevano la possibilità di trasmettere qualcosa di internazionale, si vedeva la Superbike, con le sintesi, molto "asciutte", della due gare della domenica. Una meraviglia per me, ma penso fossimo in due o tre per tutto il comune dove abitavo, che si prendevano la briga di scorrere il telecomando oltre al tasto 6 per trovare la trasmissione. E poi ci si incontrava e parlavamo di Fogarty, di Slight, di Gobert e sembravamo i Carbonari nel loro parlare con codici criptati, di un movimento che la massa non conosceva o non aveva ben presente.
In realtà la Superbike aveva impiegato ben meno tempo di quello che si può pensare per far innamorare gli appassionati, ma continuava a soffrire di una scarsissima pubblicità mediatica e di una copertura televisiva non all'altezza del pubblico che gremiva le tribune di Monza, Misano o Imola.
Per questo motivo eravamo dei nottambuli, che non trovavano un articolo sui quotidiani sportivi. Piuttosto l'ippica o il badmington, ma non la Superbike, sulle ultime pagine della Gazzetta. Così mi ha fatto gioco dire che eravamo come i "Carbonari" che cospiravano la notte contro il sistema pre-risorgimentale. Era un sistema anche quello, ma non offriva spazio al movimento che nel tempo farà parlare per il calore e i numeri del pubblico che va in circuito. Infatti la tv non è stata comunque un crescendo di divulgazione dal quale non si è tornati indietro. Anzi, pur mantenendosi costante e vivo il seguito della Superbike, il tubo catodico ha avuto alti e bassi. Mi ricordava Carlo Baldi (che ha usato per primo il termine Carbonari e a cui dedico questo editoriale), che ci fu una stagione dove i diritti televisivi di questo campionato se li era aggiudicati la Rai. Il risultato fu che la gara veniva trasmessa solo in replica il lunedì sera a mezzanotte e non si vedeva la Supersport. E' stato un trend altalenante, come già detto prima, che ha avuto anche delle stagioni con un buon successo di ascolti e specialmente nell'ultimo periodo, le emittenti che si sono guadagnate l'esclusiva, hanno programmato un palinsesto adeguato all'evento.
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