Se una moto piace, non deve troppe spiegazioni. Come la special uscita dalla "Butèga" per omaggiare il grande Steve McQueen.
Quando si progetta una “special”, ci s’ispira a qualcosa o a qualcuno. E’ il caso di questa Honda CX del 1983 che sembra cambiare abitudini facendo un salto a ritroso nel tempo di un paio di lustri rispetto alla data di fabbricazione. Quello che è uscito dalla “butéga” di Graziano Ferrini, è un omaggio alle corse di durata degli anni sessanta/settanta e ad uno dei personaggi più rappresentativi di quel periodo, Steve McQueen. Un potenziale evocativo che viene messo in strada con finiture e particolari in bilico tra il genere “cafè racer” e le superbike. Colori semplici e ben abbinati su fondo nero e cornici oro, per una moto da ammirare e usare, certi di non passare inosservati.
Il bicilindrico 4 valvole in testa a V 80° trasversale, che sviluppa una cilindrata di 496 cc., mantiene intatte le sue caratteristiche costruttrici e questa “special” ne esalta l’architettura. Parti lucide, quasi a specchio, su fusioni meccaniche nere danno il giusto abbinamento cromatico. Cambio a cinque marce per una trasmissione finale a cardano che non genera strappi alla guida, nonostante l’età. Filtri conici per i due carburatori Keihin da 35 mm, che oltre a fornire maggior tiro, danno leggerezza ad un onesto “twin” raffreddato a liquido, con pochi cavalli (solo 47), ma veri, che a 6.500 giri/min non si scostano troppo dalle prestazioni dei motori moderni. Le due marmitte, in tubo saldato e curvato a dovere, sono silenziate dall’interno senza aggiunta di terminali, per mantenere una certa forma ed esaltare il “ferro” di cui sono fatte. Il suono emesso dagli scarichi è cavernoso, con una timbrica da moto da corsa d’altri tempi.
Il bicilindrico 4 valvole in testa a V 80° trasversale, che sviluppa una cilindrata di 496 cc., mantiene intatte le sue caratteristiche costruttrici e questa “special” ne esalta l’architettura. Parti lucide, quasi a specchio, su fusioni meccaniche nere danno il giusto abbinamento cromatico. Cambio a cinque marce per una trasmissione finale a cardano che non genera strappi alla guida, nonostante l’età. Filtri conici per i due carburatori Keihin da 35 mm, che oltre a fornire maggior tiro, danno leggerezza ad un onesto “twin” raffreddato a liquido, con pochi cavalli (solo 47), ma veri, che a 6.500 giri/min non si scostano troppo dalle prestazioni dei motori moderni. Le due marmitte, in tubo saldato e curvato a dovere, sono silenziate dall’interno senza aggiunta di terminali, per mantenere una certa forma ed esaltare il “ferro” di cui sono fatte. Il suono emesso dagli scarichi è cavernoso, con una timbrica da moto da corsa d’altri tempi.
“Il suo stile è quello
delle corse di durata,
delle moto veloci di un
tempo”
La
scelta del color oro per il telaio si combina bene con il rosso e il verde, che
fanno pensare a vecchie moto da corsa italiane. Cambiata la livrea, mantiene quasi
completamente la stessa ciclistica; gli ammortizzatori originali non sono stati
modificati, mentre e la forcella anteriore è stata accorciata di un paio di
centimetri. Cerchi in lega riverniciati come il telaio sono nelle misure di 19’
all’anteriore e di 18’ al posteriore. Freno anteriore con coppia di dischi da
240 mm su cui lavorano pinze a singolo pistoncino azionate da un comando
derivato da una Ducati da corsa, freno posteriore a tamburo da 160 mm.
Il
suo stile è quello delle corse di durata, delle moto veloci di un tempo. La
grossa carenatura è stata costruita completamente da zero e offre lo spazio
necessario per il prorompente bicilindrico a V, che affiora lateralmente. Il
parafango anteriore è stato adattato e accorciato, mentre quello posteriore si
riduce ad un accenno che fa tuttuno con codino sportivo e tabella porta
numero. Il fanalino posteriore, recuperato direttamente dagli anni cinquanta, è
incastonato nella parte superiore della coda. Minimale, essenziale e semplice,
anche la sella fatta a mano e rivestita in pelle marrone, la rende una moto
fatta da guidare in strada. Il basso semimanubrio è saldato direttamente sui
tubi dello sterzo e gli specchietti sono i moderni retrovisori da manopola tondi.
La strumentazione di bordo è ridotta al solo contachilometri protetto
dall’ampio cupolino, mentre i comandi sono gli originali del CX di serie.
Nonostante
la disposizione trasversale del motore a V, vibra poco, perché i cilindri sono
inclinati, l’uno rispetto all’altro, in maniera lievemente divergente (uno
avanti e uno indietro), sopperendo così ai fastidiosi tremori. Forte della
solida meccanica Honda, questa moto permette di avere agilità e piacere di guida
confrontandosi con le odierne compagne di segmento. La risposta
dell’acceleratore, arriva decisa dopo i 3000 giri/min, ma senza sforzi o colpi
secchi e pur avendo qualche anno, la rigidità del cardano non si percepisce
perché ben assecondato dalla ciclistica, risultando elastica e godibile. Buona
la guida alle basse velocità, fa toccare i 170 Km/h di punta.
Racing is life! Anything that
happens before or after is just waiting. Questo diceva Steve McQueen e
questo è scritto sul serbatoio di una moto tanto bella, quanto evocativa. Non
un monumento alla memoria, ma un piccolo-grande tributo su due ruote, da far
riviere ogni giorno sulle nostre strade.
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