venerdì 18 settembre 2015

Moto GP o Superbike? Meglio che trovarsi un lavoro...


Domenica 13 settembre 2015, il GP di San Marino e della riviera di Rimini, al circuito "Marco Simoncelli" (ex Santamonica) di Misano Adriatico, si è svolto nella bagarre dei box, per il cambio moto, causata da un meteo variabile che ha costretto i piloti ad entrare e uscire un paio di volte dalla pit-lane. Il giorno seguente leggo che i piloti hanno tribolato. Chi si è fermato prima ancora di partire per problemi alla moto, chi ha avuto l'audacia di continuare la corsa con le gomme sbagliate e poi si è fermato troppo tardi a cambiarle, chi è stato bravo e ha capitalizzato la strategia dei box portando a casa un risultato da podio. Ok! A me sembra pazzesco, ma andiamo per gradi.


Domenica mattina, sulla gazzetta rosa, leggo lo schieramento di partenza. I nomi non sono nuovi. Molti sono giovani, ma con già qualche anno di gare ad alto livello alle spalle. Altri sono sempre lì, paralizzati nel loro ruolo di comprimari della domenica. Ci sono alcuni nomi che erano al dodicesimo posto a vent'anni e a trenta sono ancora al dodicesimo. Ci sono altri che sono eterne promesse, ma se fossero stati eterne bugie, avrebbero avuto più credibilità. Ci sono poi i campionissimi, quelli che hanno vinto con superiorità, ma contro nessuno. Molti di questi nomi, un anno prima, correvano nel campionato Superbike, ma due anni prima correvano sempre nel campionato moto GP. Cosa può significare questo? Che si tratta di un appiattimento della categoria, della competitività, dello sport, del motomondiale. E' vero che c'è ancora il signor Rossi a tenere alto il livello delle gare, ma resta il fatto che il campione di Tavullia, non è altro che il traghettatore di questo sport dall'era più eroica all'epoca moderna, dove conta esserci, fare il proprio mestiere, non chiedere troppo e rosicare ancora meno. Questo fa sì che oggi lo spettatore di queste gare, sia davanti ad una favola, una specie di recita, dove avere simpatie per un pilota da quinta fila è impossibile, poiché quella quinta fila lo identifica in un non probabile vincente.


Credo sia difficilissimo per un giovane, che non conosce questo sport da anni, appassionarsi alle corse guardando in TV o al circuito le gare di oggi. Un paio di pretendenti alla vittoria, un saltuario terzo incomodo e tanti impiegati che fanno bene il proprio mestiere. Parlando con un esperto ex pilota degli anni '70, che per ovvi motivi lascio anonimo, ho avuto conferma che oggi, molta dell'attività legata alle corse, si svolge nel "backstage" dei gran premi, dove sponsor, case costruttrici, entourage dei corridori e tutti gli altri interessi del caso, pianificano lo scacchiere delle corse e delle stagioni successive, senza nemmeno vedere le gare. Senza seguire la corse dal punto di vista prettamente sportivo, che dovrebbe essere quello che conta maggiormente.


C'è quindi una concomitanza di fattori contingenti che supera di gran lunga la passione e l'appassionato. Poi esiste il lato che più colpisce il cuore delle corse. Come già detto, i piloti sono molto diversi dal modello originale e se non fosse perché stanno ore in sella ad una motocicletta da corsa, potremmo confonderli con degli sciatori o dei paracadutisti. Ad oggi, il pilota di Superbike o moto GP non ha la benché minima idea di che cosa sia avere a che fare con la fatica di mettere insieme un team, di viaggiare scomodo, di condividere veramente una roulotte o una camera con un meccanico, che potrebbe essere lo zio o addirittura il padre del ragazzo. Oggi, l'ultimo della griglia di partenza è "carico come una molla" di tutto quello che non gli serve. Con un fisico asciutto e scolpito quanto basta per essere un vero atleta, alterna al motociclismo altre attività come la bicicletta, il running, il nuoto, seguendo un certa dieta. Comunica con i social (che a mio avviso è dannoso più delle sigarette) e si ritaglia spazi degni di un grande campione, senza aver mai vinto niente. Certo, lui è lì; che fa un mestiere fighissimo, mentre altri non se lo possono nemmeno sognare. Ma a che scopo? Perché qualcuno dovrebbe simpatizzare per un pilota di ottava categoria, se non c'è il barlume di una reale competitività?


Penso che chi corre in moto, lo faccia perché ha qualcosa da vincere o da dimostrare. Ma negli ultimi dieci anni, mi son fatto l'idea che possa essere per molti un bel mestiere, basta sapersi riciclare in connessione con chi gestisce gli interessi di questo circo della velocità.
Credo di non aver detto nulla di nuovo o di inimmaginabile, ma credo di dover fare un altro riferimento fondamentale al passato. E' limitante pensare che gli anni che furono conservino il meglio del meglio, ma pensate un attimo a chi correva anni fa. Guadagnava il giusto e troppo poco per giocarsi la pelle. Avevo la sensazione che i piloti fossero tutti pronti a darsi battaglia, senza esclusione di colpi.


Facce alla Clint Eastwood, alla Lee Marvin, che sapevano il fatto loro ancora prima dell'accaduto. Facce da pistoleri o da bravi ragazzi, con un forte sense of umor agonistico. Nemici in pista e compagni di scuola fuori. Questo si vedeva osservando i piloti. Le loro gare erano vere scorribande, fatte sì di classe e ragionamento, ma pur sempre corse nel senso più atavico del termine.


E' vero! Forse c'erano più pericoli per tutti e anche più inconsapevolezza, più ignoranza. Ma era impensabile sentire come oggi, che la ragione per cui un Valentino Rossi non arriva primo sia legata alla strategia dei box e ad una sua ingenuità. E' impensabile che due "pilotini" come Redding e Smith se arrivano a podio siano dei grandi, perché anno ottimizzato le soste al cambio moto. Forse tutto questo è impensabile. O forse quello che dico è sbagliato e mi va bene così, ma non ricordo gare entusiasmanti dal periodo del secondo/terzo titolo vinto da Mick Doohan. Da metà degli anni novanta, come direbbe un vecchio cantante, tutto il resto è noia.


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